Come il titolo dell’episodio preannuncia, A Prayer for Mad Sweeney ci mostra un piccolo scorcio sulla vita passata e presente del nostro leprecauno, allontanandoci dal filone narrativo centrale che vede come protagonisti Shadow e Mr. Wednesday. Come ben sappiamo, la trama di American Gods sa essere intricata e ci porta lentamente alla meta, utilizzando diversi livelli di narrazione come espediente.
L’episodio si apre nella verde Irlanda, con protagonista Essie McGowan – evidentemente ispirata a Esther, protagonista de La Lettera Scarlatta e altre eroine letterarie -, straordinariamente somigliante alla ben più nota Laura Moon, e la sua vita passata alla ricerca di creature fantastiche.
Marchiata con l’accusa di essere una ladra, arriva il momento per Essie di conoscere Sweeny, il quale, incantato dai suoi discorsi, le concede un po’ della sua fortuna.
I flashback della storia di Essie si alternano con il presente di Mad Sweeney, e la somiglianza con Laura riesce a disegnare nelle menti dei telespettatori un legame ancor più forte tra i due, che continuano a viaggiare insieme.
Attraverso questo percorso di vita, ci viene mostrato un lato inedito del leprecauno, molto più umano di quello che ci si possa aspettare; la moneta d’oro non è una casualità, ma una concessione pensata che è tutto fuorché involontaria.
L’episodio viene recepito come una boccata d’aria fresca rispetto ai tempi stretti dettati dalla corsa al finale, e risulta sicuramente piacevole e interessante, perché delinea i margini di personaggi piacenti, ma allo stesso tempo ci fa domandare se abbia la giusta posizione nella narrazione.
Probabilmente sarebbe stato più giusto mandarlo in onda prima, per non tagliare il filo conduttore proprio alle soglie del finale. Nonostante ciò risulta comunque uno dei migliori episodio di questa perla della Starz.
Con Come to Jesus, puntata finale della stagione, American Gods si approccia al racconto dell’arrivo in America di Bilquis, descritto da Mr. Nancy, ascoltato da Shadow e Mr. Wednesday durante l’attesa dei loro abiti. L’incredibile storia della regina di Saba funge da cesura, dando la giusta suspense che possa caricare lo spettatore prima del tanto atteso scontro tra gli dei, ma allo stesso tempo è necessario dare dignità a questo personaggio, messo irrimediabilmente in secondo piano.
Bilquis rappresenta la forza delle donne, in un mondo dominato prevalentemente da uomini.
La sua interpretazione, fatta di silenzi, ci parla con uno sguardo quasi implorante, che non ha bisogno di seconde voci per imporci la sua presenza. Si tratta del baluardo della femminilità in questa serie, che riesce ad esplodere in un coro di donne, che non hanno niente da invidiare all’imponente forza maschile. A questo proposito è giusto parlare anche di Easter, arruolatasi in questa puntata, che riesce immediatamente a delineare la sua emblematica presenza, anche attraverso pochi fotogrammi.
Purtroppo, la riduzione degli episodi a soli otto a mio parere ha giocato a svantaggio di questa serie, fin troppo complessa, alla quale c’era sicuramente bisogno di dare un supporto, di cui si sente la mancanza.
La storia di Shadow risulta poco lineare e lo spettatore fa fatica a tener traccia del filo conduttore di così tanti avvenimenti e personaggi, che sembrano alternarsi troppo velocemente e ricevere poco spazio sullo schermo, a discapito di loro stessi, ma in particolare dello stesso protagonista.
Purtroppo era necessario dare una sorta di fondamenta a questa stagione, costruendo i pilastri necessari per avere un prospetto preciso delle divinità interpellate e rendendo questa prima stagione una sorta di proto-storia, prima dei veri e propri sviluppi, che arriveranno in seguito con la seconda. Con la sua confessione a Jesus, Shadow accetta l’esistenza di tutte le divinità esistenti e finalmente lo si può percepire come un credente, dando una scossa decisiva alla serie.
American Gods è senza dubbio uno dei telefilm di punta di questa stagione, non senza difetti, ma probabilmente una promessa che speriamo di veder mantenuta l’anno prossimo.